Storia dell’Isola di Sant’Antioco

 Nel territorio di Calasetta le poche testimonianze del periodo nuragico sono i nuraghe in rovina, (in calasettano  “Bricchi”): Scarperino, Arena e Ciotti.
Età Fenicio-punica (metà VIII sec. – 238 a.C.)
Tofet
La storia di Sant’Antioco è antichissima. Una trentina di nuraghi, un certo numero di cosiddette “Tombe dei giganti” e di “Domus de janas” testimoniano che l’isola non fosse priva di insediamenti stabili già in epoca preistorica. In età storica nacque il primo nucleo della città di Sulki, toponimo riscontrabile nelle testimonianze epigrafiche rinvenute ad Antas. A fondarla furono, probabilmente nella prima metà dell’VIII secolo a.C. (parrebbe, stando alle fonti letterarie, quasi nello stesso periodo in cui venne fondata la stessa Cartagine) alcuni mercanti e navigatori provenienti da un’area grosso modo corrispondente all’attuale Libano: i Fenici. Il dato relativo alla fondazione della città è desumibile con buona approssimazione sia rifacendosi alle fonti letterarie, sia basandosi sulle testimonianze archeologiche: il materiale riportato alla luce nell’area del tofet e in quella del cosiddetto cronicario indicano che il centro fosse pienamente attivo almeno a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C..
Vari studiosi, tra cui l’archeologo dell’Università degli studi di Sassari Piero Bartoloni, indicano Sant’Antioco come la città più antica della Sardegna [5] e come il centro urbano più antico d’Italia[6]. All’inizio del VI secolo a.C. i Cartaginesi, fenici d’Occidente, presero possesso della Sardegna e dunque anche dell’isola di Sant’Antioco. La città nordafricana controllerà la Sardegna sino all’epoca delle guerre puniche, quando verrà spodestata dalla nuova potenza egemone del Mediterraneo: Roma.
Età romana (238 a.C.-456 d.C.)
Statua romana del I secolo a.C.
La città fu testimone, durante quelle guerre puniche che rappresentarono un vero e proprio spartiacque negli equilibri del Mediterraneo, di un evento bellico di una certa rilevanza. Fu probabilmente tra le isole della Vacca e del Toro che si combatt? la battaglia di Sulci (258 a.C.), che vide trionfare la flotta romana guidata dal console Gaio Sulpicio Patercolo su quella sardo-punica capeggiata da Annibale Giscone, che in quanto responsabile della disfatta venne condannato e successivamente crocifisso [7]. In epoca romana, ossia a partire dal 238 a.C., Sulci continuò a fiorire sino a diventare, a detta del geografo greco Strabone (vissuto a cavallo tra I sec. a.C. e I sec. d.C.) la città più florida della Sardegna romana insieme a Caralis. Lo sfruttamento dei bacini minerari dell’Iglesiente non era infatti cessato (in quest’area venne eretto, in età augustea, il tempio romano ad Antas, sulle rovine di quello punico), e con esso l’intenso traffico nel porto sulcitano: di qui l’appellativo dell’antica Sulci “Insula plumbea. La città dovette disporre davvero di ingenti risorse finanziarie se all’epoca della guerra civile tra Cesare e Pompeo (I sec. a.C.) poté pagare una multa di circa 10 milioni di sesterzi inflittale da parte di Cesare, giunto nel frattempo nell’antipompeiana Caralis. Scrive Attilio Mastino:
« Dopo la vittoria e dopo il suicidio di Catone, partito da Utica (Cesare) giunse il 15 giugno 46 a.C. a Karales [Caralis], dove si vendicò punendo i pompeiani della città di Sulci, che avevano sostenuto con rifornimenti di ferro non lavorato e di armi la causa di Pompeo e del Senato. La città vide la decima portata ad un ottavo, i beni di alcuni notabili locali furono messi all’asta e fu imposta una multa di 10 milioni di sesterzi »
(Cfr. Attilio Mastino, La Sardegna romana, in Storia della Sardegna, a cura di M. Brigaglia, ed. Della Torre, Cagliari 2004)
Sulci si riprese ben presto dallo smacco subito, forte anche della floridezza del suo porto e, dunque della sua economia, sino quando, intorno al I sec. d.C., sotto Claudio, fu riabilitata sul piano politico e elevata al rango di Municipium[8]. È necessario, per poterci rendere conto del livello di prosperità raggiunta dall’antica Sulci romana, consultare pure l’andamento demografico, indicatore indubbiamente prezioso. Secondo il Bellieni, la città tra tarda Repubblica e prima fase imperiale doveva essere popolata da circa 10.000 persone, cifra effettivamente plausibile se si tiene conto della popolazione media nei centri italiani di età augustea calcolata dal Beloch[9].
L’antico centro romano sorgeva, come si può desumere facilmente ancora oggi prestando attenzione alla disposizione degli assi viari maggiori e minori, nell’area comprendente le attuali vie Garibaldi, XX settembre, Mazzini, Eleonora d’Arborea, Cavour, in località detta “Su Narboni”. Qui, e precisamente all’incrocio tra le attuali via XX settembre e Eleonora d’Arborea (presumibilmente nell’area dove sorgeva il foro, non ancora localizzato), si trova un mausoleo noto come Sa Presonedda o Sa Tribuna databile al I sec. a.C., grosso modo coevo al ponte romano, situato in corrispondenza dell’istmo, e al tempio d’Iside e Serapide le cui rovine non sono oggi più apprezzabili. Della Fontana romana che si trova nell’attuale piazza Italia non è rimasto nulla dell’impianto antico [10]. Copiosi i mosaici, alcuni dei quali furono adoperati per lastricare la Basilica di Santa Croce in Cagliari [11] La tradizione colloca nel II sec. d.C. la vicenda del santo eponimo dell’isola, quel medico forse mauritano di nome Antioco che patì il proprio martirio a Sulci sotto gli Antonini, presumibilmente durante il regno dell’imperatore Adriano (117-138 d.C) [12].
Dall’età medievale a quella contemporanea
Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente (la data convenzionale è il 476 d.C.) Sulci, come il resto dell’isola, passò sotto il dominio dei Vandali, una popolazione germanica stabilitasi in Nord Africa; il loro passaggio nell’isola di Sant’Antioco è testimoniato da una particolare sepoltura al cui interno erano presenti i resti di un uomo sepolto insieme al proprio cavallo [13]. Nel 534, a seguito della vittoria del generale Belisario a Tricamari (presso l’antica città di Cartagine) sui Vandali, la Sardegna passò in mano ai Bizantini, che vi rimasero alcuni secoli. A causa delle frequenti scorrerie dei pirati saraceni iniziate nel corso dell’Alto medioevo, in particolare a partire dall’VIII secolo, Bisanzio fu però costretta ad abbandonare progressivamente l’isola.
Successivamente Sulci e l’intera Isola di Sant’Antioco fecero parte del giudicato di Cagliari, ma nel XIII secolo erano ormai pressoché disabitate e la sede della diocesi di Sulci fu trasferita a Tratalias; questa desolazione, proseguità per tutto il periodo aragonese e spagnolo (1324-1713), tra XVI e XVII secolo veniva interrotta eccezionalmente a due settimane di distanza dal giorno di Pasqua quando, per alcuni giorni, migliaia di persone accorrevano sull’isola per celebrare la festa in onore di Sant’Antioco (detta Sa Festa Manna). Nel 1615, in piena controriforma (sostanzialmente la risposta cattolica alla riforma protestante germanica, nonché un processo di grande rinnovamento della Chiesa e dei suoi apparati), in un gran fervore di caccia alle reliquie l’arcivescovo di Cagliari Francisco d’Esquivel fece ritrovare le reliquie del santo (vere o presunte), collocate presso le catacombe[14]. Solo nel XVIII secolo, in epoca sabauda, iniziò un processo di ripopolamento del territorio, attuato in particolare da famiglie provenienti da Iglesias, che diede luce all’odierno abitato di Sant’Antioco il quale si sovrappose alle rovine dell’antica Sulci. L’incremento demografico proseguì poi nei due secoli successivi.